E’ la notte del 25 settembre 1988, una notte più luminosa delle altre: la luna è piena e irradia la Statale 640, quella che da Agrigento conduce a Caltanissetta; un’auto è in corsa quando, all’altezza del viadotto Giurfo, è attaccata da un commando di sicari che esplode una gragnola di piombo contro gli ignari passeggeri del veicolo. I corpi, straziati e irriconoscibili, appartengono ad Antonino Saetta, di anni 65, presidente della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, e al figlio Stefano, trentacinquenne. Entrambi diretti nel capoluogo siciliano, senza blindaggio né scorta, dopo avere partecipato al battesimo di un nipotino, a Canicattì. Antonino, condannato a morte da Cosa nostra perché impassibile al compromesso ma donato alla causa della Giustizia e Stefano, martire inconsapevole di una realtà spregevole che non risparmia nessuno.
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